Tarzo

Colori e suoni, le forme del ricordo 

 

Ogni civiltà ha realizzato grandi imprese artistiche perché le generazioni successive conoscessero la vita, le speranze e i dolori di chi aveva vissuto quel luogo. Prima di ogni libro o di ogni film, è stata la pittura il mezzo che ha alimentato il desiderio di raccontare. Tavole e tele sono stati supporti di grande successo. Ma prima ci sono state le pareti. Delle caverne, delle case e delle chiese.

 

Nel 2008 a Fratta e a Colmaggiore, due borghi affacciati sui laghi di Revine Lago e Tarzo, ci si è resi conto di una ineluttabile realtà. I paesi non erano più quelli di cento o anche solo cinquant’anni prima. La civiltà contadina si era dissolta, cancellata dalla fretta del nuovo modo di vivere. Certo, le case, le strade, le fontane, i viottoli erano lì, ma stavano diventando spazi muti. Persone, mestieri, odori e suoni erano scomparsi. 

 

Ecco nascere la “Via dei Murales” che ha coinvolto ben 13 artisti per animare di colori le strade. E’ come se le pareti sparissero per svelarci la vita che si svolgeva in quella casa, in quel cortile, in quella bottega. La muralistica nasce in America Latina, ma anche in italia ha una sua tradizione. Ci sono i murales stranianti di Dozza, quelli impegnati di Orgosolo, quelli poetici di Cibiana di Cadore. Per apprezzare queste opere bisogna camminare con “passi tardi e lenti”, non li si può guardare dal finestrino di un’auto. Le immagini si svelano pian piano, riempiono il silenzio di oggi evocando i rumori di un tempo. Scopriamo lavori tradizionali che continuano, pur nella necessaria modernità. Altri che non ci sono più: tagliare il bosco non è facile, bisogna saperlo fare perchè altre piante crescano, bisogna saper raccogliere e legare le esili canne palustri per creare le arelle, qui chiamate grisioe, bisogna saper impastare e modellare l’argilla per creare i coppi del giusto spessore e della corretta curvatura, bisogna conoscere i passaggi dell’allevamento del baco da seta per far sopravvivere questo lepidottero che va nutrito con le foglie del gelso e tenuto al caldo o al fresco a seconda del suo ciclo vitale. La nostra civiltà che sa tutto, non sa fare tutto.

 

Bisogna raccontare anche le cose tristi come l’emigrazione che per questa terra è stata una dura realtà dalla metà dell’800 alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Poi la mezzadria che costringeva all’abbandono delle magre terre nel giorno di san martino, l’11 novembre, o le castagne che erano una vera risorsa alimentare. Ma poi ci sono le chiacchiere alla fontana o una famiglia riunita davanti alla propria casa dove nessuno sta fermo. La madre fa la maglia, chi prepara i gomitoli, chi spazza, chi pulisce casa, chi accudisce i più piccoli, chi è appena tornato dall’orto. Più tardi, accogliendo la notte, si racconteranno ai bambini le storie del mazariol. Poco più in là, tra i vincheti del lago scivola una barchetta e due giovani, protetti dal buio e illuminati dalle stelle, sono sfuggiti al controllo dei genitori per stringersi l’uno all’altra. 

 

Un’idea bella quella dei murales che, forse inconsapevolmente, si è messa sulla scia di una lunga tradizione. Perché tra queste colline ci sono chiese che custodiscono bellissimi affreschi, come quelli del XV secolo presenti nella chiesa di San Martino a Fratta. Oggi lì vicino c’è un murales con l’immagine di questo santo, come fosse la sinopia di un dipinto antico.

 

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