Pieve di Soligo

GIOVANNI ZANZOTTO

Un piccolo paesaggio, un notturno. E’ una sera d’estate, quando le cicale lasciano il posto a grilli e lucciole. Un paesaggio che è freschezza, aria sottile, suoni nel silenzio, quello che i pittori del Cinquecento veneto avevano reso protagonista nei loro dipinti. Siamo tra le colline dell’Alto Trevigiano: è la luminosità del cielo che ce lo suggerisce. Questi luoghi, oggi famosi nel Mondo, Patrimonio dell’Umanità, hanno un cantore, un poeta conosciuto nel Mondo, Andrea Zanzotto

 

Con le sue parole, cesellate e auliche, approdi di una lingua quotidiana antica, ha raccontato queste terre. 

Dal cielo è questa penombra

Dove senza termine è la fede

Anche dell’insetto che procede

Dalla foglia invernale alla stella…

Dal cielo è questo scrigno di paesi

Dormienti tra le presenze oscure

E feconde dei monti…

 

Parole e dipinto hanno uno stretto legame. I versi sono di Andrea Zanzotto, le pennellate di suo padre, Giovanni. Vi sono raffigurati due santi di nome Antonio, due pilastri della devozione popolare. Sant’Antonio Abate con il maiale, il campanello, il fuoco e la lunga barba bianca: è un santo eremita. Venerato perché protettore degli animali, così importanti nel mondo contadino. Con il grasso suino si lenivano anche i dolori dell’herpes zoster, il fuoco di sant’Antonio. Sant’Antonio da Padova ha il saio dei francescani, la tonsura, il Bambino Gesù in braccio e il giglio ad indicarne la purezza di vita e di pensiero. Una figura così nota da essere ricordata con un assoluto: “il Santo”. Lo sguardo di Sant’Antonio Abate ci interroga e ci coinvolge. Il segno sicuro nel delineo, l’impostazione perfetta delle mani, le pennellate ora compatte ora scomposte, sono attestazione della maturità artistica di Zanzotto. 

 

La tela è firmata e datata: 1924. E’ un anno cruciale per il pittore. Nato a Pieve di Soligo nel 1888, a 23 anni si era diplomato pittore a Bruxelles dove la famiglia era emigrata. Due anni dopo, con in mano anche il diploma dell’Accademia di Belle arti di Bologna, aveva iniziato l’attività di pittore e decoratore in collaborazione con il compaesano Emilio Fontana. Lavorano tra Treviso e Belluno e nell’austriaca Trieste. Tra il 1924 e il 1925 nel Quartier del Piave arriveranno artisti importanti. Sono gli anni della ricostruzione postbellica. Sarà Guido Cadorin a coinvolgere Giovanni Zanzotto nelle proprie spettacolari imprese artistiche: tra tutte la cupola di Moriago. Il 1924 è un anno difficile: alle elezioni di aprile il Partito Nazionale Fascista supera il 66% , è l’anno del delitto Matteotti. Giovanni Zanzotto, che ha espresso le proprie idee antifasciste, deve emigrare: per lui non ci sono committenti e non può insegnare. Torna nel 1927 e andrà in una sorta di confino a Santo Stefano di Cadore. Ma almeno insegna e dipinge. Dopo un nuovo periodo in Francia, nel 1933 si stabilisce nella casa rossa della Cal Santa a Pieve di Soligo. Qui frammenti e lacerti testimoniano la sua casa d’artista. Nel territorio meritano uno sguardo le opere nelle chiese di Mosnigo, del 1922, e di Zoppè di San Vendemiano del 1944.  Alla fine di questo periodo difficile risale la Madonna del Carmine nell’oratorio di palazzo Morona a Pieve di Soligo. L’opera è datata 1945, è un ex voto. Il linguaggio è più accademico, piegato agli intenti devozionali. Ma i gesti, gli sguardi hanno ancora la forza di vent’anni prima. 

 

MARTA SAMMARTINI (Belluno, 1900 – Pieve di Soligo 1954)

Marta Sammartini nasce a Belluno, si forma a Venezia e Bologna, ma vivrà a Pieve di Soligo. La sua è una famiglia importante, vivono nel grande palazzo ereditato dai Balbi Valier che domina il centro della città. Qui il padre allestirà lo studio d’artista per questa ragazza che ha il dono dell’arte, ma non vuole solo disegnare figurini o illustrare libri per bambini: vuole scolpire. Nel marmo, nella pietra o con l’argilla per trarne figure in bronzo. Negli anni della giovinezza realizza piccole sculture, bronzetti, ma sogna la scultura monumentale. Non sono queste le forme d’arte che di norma interessano le fanciulle di buona famiglia, che al massimo si immaginano al cavalletto con il pennello in mano. Siamo negli anni Venti del Novecento. Marta Sammartini è giovanissima ma già partecipa ad esposizioni importanti, tra tutte la Biennale.

 

Le prime vere lezioni di scultura le erano state impartite a Venezia da Annibale De Lotto, scultore cadorino che conosciamo anche per gli intensi Monumenti ai Caduti presenti sul territorio. Da questo maestro, espressione del naturalismo ottocentesco e sulla scia della grande tradizione del Cinquecento, la giovane Sammartini desume la regolarità delle forme e l’interesse per la scultura monumentale.

 

Ne vediamo gli esiti nella Madonna col Bambino in pietra d’Istria del 1920 che ci guarda dall’altare del Rosario ricomposto nel Duomo pievigino. La Madre mostra al Bambino l’umanità: stravolge l’idea che Donatello aveva proposto nell’altare del Santo a Padova, Maria è solenne e al contempo delicata, e poi quella treccia: è moderna e evoca davvero la giovane scultrice. Il primo dopoguerra è un momento importante per gli scultori che sono impegnati nella realizzazione dei Monumenti ai Caduti, ma per la Sammartini gli anni tra il 1925 e il 1935 sono difficili: la sua visione del conflitto non è retorica, non segue l’onda del Fascismo, il suo sguardo è rivolto agli ultimi, alle donne che hanno sofferto l’indicibile. Meritano ora uno sguardo attento anche le Storie di Maria nel Duomo di Pieve di Soligo.

 

Per queste opere del 1935 recupera la tecnica degli antichi frescanti, ma lo fa con originalità e delicatezza, marcando il segno grafico. Sono quasi dei disegni, rispettano le decorazioni del nuovo Duomo che Domenico Rupolo e Ferdinando Forlati hanno realizzato come summa dell’arte sacra tra medioevo e Rinascimento. La Sammartini completerà il ciclo nel secondo dopoguerra con le Storie di Cristo, un ex-voto perché nessun familiare è morto in guerra. Nel Municipio di Pieve di Soligo possiamo ammirare il gesso della Medusa pontinia. Un nudo armonioso del 1935 esposto alla mostra per i Quarant’anni della Biennale. Rinvia a Canova, ma è più giuzzante, ricorda l’intimità della scultura tardoclassica, ma vi è maggiore concretezza. E’ l’immagine di una donna vera che personifica il mito: le paludi malariche vengono bonificate, diventano terra fertile e Medusa deve tenere a bada le sue serpi. 

 

Nella biblioteca cittadina ci incanta il ritratto di Lena Battistella del 1938. Il marmo di Carrara riesce ad essere caldo e algido allo stesso tempo, esprime la grazia nei tratti e nel movimento. La sua femminilità è altera, il portamento e lo sguardo intensamente moderni. Troppe volte la critica si è concentrata sulla scelta di dedicarsi ad una materia così poco femminile. Oggi è tempo di guardare davvero all’arte di Marta Sammartini, per riconoscere che è stata non donna e scultrice, ma scultrice e donna.  

 

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Artisti per Pieve di Soligo:

  • Marta Sammartini in Duomo
  • Attilio ed Emilio Fontana nella parrocchiale di Barbisano
  • Giovanni Possamai in Duomo
  • Giovanni de Min nella parrocchiale di Solighetto

 

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