Moriago della Battaglia

Dodici figure alte più di tre metri, poggiate su pietre sbozzate o blocchi di marmo squadrati. I piedi sono ben piantati a terra, scalzi o con pratiche calzature. I volti sono espressivi, parlanti, dialogano, ci interrogano. I loro gesti sono eloquenti. Vesti, tuniche, mantelli. Rossi, bianchi, verdi, blu, ocra, marrone. Mai troppo brillanti, ogni tono è smorzato e legato agli altri. Ecco i Dodici Apostoli della Pentecoste nella cupola della parrocchiale di Moriago della Battaglia

 

Dietro ciascuno di loro è dipinta una lastra di marmo che pare esprimere la bellezza e la solidità del Creato. Ma ciò che li tiene legati è un’alta fascia, una rete da pesca e delle stuoie incannucciate, realizzate con le canne che crescono nei Palù di queste terre. Oggetti del quotidiano intrecciati a mano, utili ai pescatori del lago di Tiberiade come di quelli del Piave. Con tocchi di bianco sono rese luminose gocce d’acqua, sospese, pronte a cadere. La forza espressiva dei loro corpi e soprattutto dei loro volti, ce li rende veri. Sono davvero pescatori di Galilea. Ma questa coerenza con la narrazione evangelica che oggi apprezziamo, nel 1925 è stata vissuta come uno scandalo. Perché quei volti ritraggono il sindaco di allora, il farmacista, qualche notabile e anche moriaghesi dalla non specchiatissima moralità. Non potevano incarnare gli apostoli! Fu una disputa che rese Moriago famoso, coinvolse il Vescovo e la Curia vittoriese, perfino la Commissione pontificia per l’Arte sacra e la stampa nazionale ed estera. Ma su ciò che allora fece scandalo, grazie alla risolutezza dell’artista che mai ritoccò quei volti oggi non più riconoscibili, è calato il velo del tempo. A noi resta il dono di un’opera d’arte davvero unica.

 

L’autore è Guido Cadorin, che qui si avvalse della collaborazione di Astolfo de Maria. L’opera venne realizzata tra il 1924 e il 1925. Era il giusto completamento di un’architettura davvero coraggiosa per queste terre povere e devastate dalla Grande Guerra. I colpi dell’artiglieria italiana posta al di là del Piave avevano distrutto l’edificio precedente di cui fa memoria la struttura mozza del campanile. L’architetto Alberto Alpago Novello aveva realizzato un edificio poligonale in mattoni: un solido scrigno a pianta centrale che rinvia alla tradizione sia paleocristiana che bizantina, nonché all’epoca in cui visse San Leonardo di Limoges titolare delle chiesa. Ma osserviamo il cielo. Per quest’ampia porzione Cadorin si avvalse della collaborazione di Giovanni Zanzotto, padre del poeta Andrea. Il blu è intenso, solcato da sedici lingue di fuoco che indicano gli Apostoli e i quattro calici che simboleggiano gli Evangelisti. L’iscrizione tratta dagli Atti degli Apostoli descrive la Pentecoste, è posta ad un terzo dell’altezza. Esplicito, e dichiarato dall’autore, è il riferimento alla cupola della Pentecoste nella Basilica di San Marco. Ma a Moriago le lingue di fuoco sono più evidenti. E paiono ricordare le bombe che per un anno avevano solcato le notti buie del cielo sopra Moriago. 

 

 

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