CONEGLIANO
La Sacra Conversazione di Cima da Conegliano
Entro uno spazio monumentale, in un’atmosfera cristallina e composta, terra e cielo, umano e divino, materia e spirito si incontrano. L’architettura che ospita l’evento è il presbiterio di una chiesa. E il pittore ci invita a prenderne parte. La rende fortemente prospettica, tanto da condurci dentro il quadro. Ne dipinge solo una porzione. Il resto ce lo lascia immaginare sopra di noi. Quadrato e cerchio definiscono questa architettura. Il quadrato dà forma alla sua pianta, scandisce il pavimento: richiama la finitezza della terra. Il cerchio ricorre nella cupola, con le sue finestrelle, negli archi su cui poggia, nella forma centinata della pala: è emblema della perfezione, della volta celeste; è segno di una realtà spirituale. E il cielo in questo dipinto c’è per davvero. Sostituisce l’abside della chiesa. Più che presenza si fa aspirazione. Brandello di Paradiso. E la “porta” per accedervi è Maria.
Cima da Conegliano, autore della pala, rende esplicita questa verità di fede, collocando la Vergine con il suo Bambino su un alto trono marmoreo che si staglia in quell’azzurro ultraterreno. E’ Lei il cuore della composizione, a Lei è dedicata la sacra immagine. Più in basso, si ergono i sei santi, solenni, gli sguardi intensi e ben caratterizzati. Le mani come note distribuite su un pentagramma. Descrivono gesti e posture. A questa Sacra Conversazione prendono parte Giovanni Battista e l’apostolo Pietro, Caterina d’Alessandria e Apollonia, Nicola di Bari e Francesco d’Assisi.
E’ il 1492, quando Cima da Conegliano dipinge questo capolavoro per la sua città natale, da collocare sull’altare maggiore della chiesa di Santa Maria dei Battuti, ricostruita e consacrata il 6 giugno dell’anno precedente. Lo richiedono con determinazione ed orgoglio i gastaldi della confraternita. Lui è già un pittore esimio che vive a Venezia, la capitale europea dell’arte, dove operano Gentile e Giovanni Bellini, quest’ultimo è stato il suo maestro. Ma vi sono anche i Vivarini, Carpaccio e Giorgione. E in questa pala, Venezia è presente, eccome. Lo spazio architettonico è un omaggio a San Marco, allora cappella dogale.
Mentre certi dettagli tessili, i calzari di santa Caterina e il tappeto alla turchesca sono assaggi della cultura e del gusto di questa città cosmopolita al volgere del secolo. Una città in cui la musica rivestiva un ruolo cardine. Ed anche questa pala ne è allietata. Le note provengono dal liuto e dalla ribeca suonati dai due angeli. E poi, i raffinati e lucenti manufatti marmorei, sapientemente calibrati nei toni cromatici e nelle tipologie rare, sono incursione nell’antico, secondo il clima culturale veneziano. Le figure sono ben disegnate e tornite. Sculture dipinte, che risentono della statuaria di Antonio e Tullio Lombardo. A ben vedere, vi è un ulteriore personaggio. E’ san Leonardo di Limoges che compare sotto forma di prezioso ricamo sul piviale di san Nicola. Non si tratta però di un mero decoro, quanto piuttosto di una sottolineatura storica, di uno sguardo alle origini: a san Leonardo era dedicata infatti la pieve su in castello, matrice di questa chiesa. Ai piedi del trono, un foglietto, con le sue palpabili piegature, riporta il nome dell’artista, i nomi dei committenti, i gastaldi Francesco Codroipo e Giovanni della Pasqualina e l’anno di collocazione della pala: il 1493. Approda così a Conegliano un’opera davvero dirompente.
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